27/08/2013 ˑ 

Intervista con il team di Memphis

Posted by Biennale

Memphis è il progetto americano selezionato per la fase finale di Biennale College – Cinema 2012/13. Opera seconda di Tim Sutton dopo l’acclamato Pavilion, Memphis avrà la sua prima mondiale alla 70. Mostra del Cinema di Venezia il 31 agosto. Abbiamo incontrato Tim e il produttore John Baker per intervistarli sulle difficoltà della realizzazione della pellicola.

INTERVISTA CON TIM SUTTON

Quali sono le difficoltà tecniche che hai trovato durante le riprese?
Ho avuto poche difficoltà tecniche durante la produzione. Le nostre sfide più grandi erano a livello logistico e di tempo. Lavorare con Willis affinché il suo personaggio potesse vivere una vera discesa emotiva in un posto oscuro e surreale in modo credibile voleva dire che dovevano esserci giorni in cui dovevamo lasciarlo riposare, affinché potesse raccogliere la propria energia. In più, il resto del cast era formato da attori non professionisti che avevano vite indaffarate e i propri programmi, quindi è stata una sfida creare e mantenere il flusso di eventi appropriato senza imporre i ritmi della nostra produzione alla gente nel loro mondo “reale”.

Quali sono state le differenze principali rispetto all’esperienza di Pavilion?
Per Memphis ho avuto un team altamente efficace, così come un reparto scenografia fantastico, entrambi aspetti che mi hanno reso possibile collaborare in modi nuovi, interessanti e utili senza dover pensare a soldi e logistica. Mai. Mi ha reso possibile fare null’altro che pensare in modo creativo – il che è un lusso, e l’intero processo ne ha beneficiato.

Era questo il film che volevi sin dall’inizio?
Il film va oltre quello che avevo sperato. Ha tutto ciò che avevo inizialmente immaginato – autenticità, bellezza, anima, folklore – ed è elevato da una potente interpretazione di un personaggio che va oltre le aspettative, il che aiuta il film a slittare verso una dimensione diversa. Non è affatto un film perfetto – ma con sicurezza e mestiere va verso uno spazio molto originale che ragiona con calma sulla vita (sulle vite) in modo tranquillo, interessante e, secondo me, commovente.

INTERVISTA CON JOHN BAKER

Quali sono state le difficoltà relative al tempo e al budget?
Conoscere esattamente i nostri limiti e le aspettative rispetto a tempo e budget ha semplificato la produzione in diversi modi. Sapevamo sin dall’inizio che non potevamo raccogliere più denaro e che la data di consegna del film non sarebbe cambiata. È stato liberatorio saperlo perché abbiamo dovuto dare queste cose come assodate; non potevo aggiungere denaro ad un problema per risolverlo o chiedere più tempo per finire il montaggio. Ciò mi ha forzato a concentrarmi sui problemi produttivi che potevo controllare all’interno di questi limiti e a fare decisioni migliori grazie a questi.
Io e Tim abbiamo lavorato a Memphis per più di un anno prima di iniziare le riprese, e avevamo un’idea ben chiara di come volevamo realizzare la visione globale del film. Quella visione aderiva ad uno specifico linguaggio visivo e narrativo e aveva bisogno di un particolare processo produttivo affinché funzionasse. Autenticità, naturalismo, e il fatto di catturare l’immediatezza della vita reale in modo accentuato e cinematografico erano di primaria importanza per questa estetica. Si trattava di avere una piccola troupe che lavorasse con attori non professionisti in luoghi reali, per rimuovere la sensazione che si stesse girando un film. Ha richiesto molta flessibilità, duro lavoro, e pazienza da parte di tutti perché non lavoravamo con una sceneggiatura tradizionale o un programma delle riprese. Ogni giornata era organizzata secondo le scene che avevamo bisogno di girare e le inquadrature che Tim voleva, ma abbiamo lasciato spazio all’improvvisazione e allo sviluppo di tracce narrative che non avevamo scritto o programmato.
Comunicare come il processo doveva essere affrontato e far sì che tutta la troupe fosse sulla stessa barca è stata la sfida iniziale. Abbiamo avuto una troupe davvero talentuosa con molta esperienza cinematografica alle spalle. Quindi tutti dovevamo lasciar perdere le nostre aspettative su come fare un film secondo le nostre esperienze, ed iniziare ad abbracciare un processo filmico più intuitivo e fluido. Tim si è rimesso nelle mani di ogni membro della troupe affinché facesse il proprio lavoro in totale autonomia perché sapeva che avrebbero portato qualcosa di unico e prezioso nel progetto a seconda del suo talento. Quando tutti erano a loro agio con questo processo, il lavoro di tutti ha iniziato a brillare per davvero.

C’è stato qualcosa in particolare che è andato meglio del previsto e che invece pensavi sarebbe stato un problema?
So che suona noioso, ma tutto poteva andare per il verso sbagliato in questo tipo di produzione ed ha funzionato ogni volta. Ero onorato e commosso da come siamo stati accolti calorosamente dalla città di Memphis, dalla film commission, dagli abitanti. Tutti erano così generosi e di supporto e volevano aiutarci ogni volta che potevano. Non capita ovunque tu vada a girare un film (l’ospitalità del Sud è vera!!).
Ero preparato e mi aspettavo di dover risolvere problemi tutto il giorno, ma veramente non ce ne sono stati, a parte i soliti noti (qualche microfono rotto, ecc.). Credo che questo sia una conferma per la nostra troupe e il nostro cast su quanto ognuno ha portato all’interno del processo produttivo di Memphis. Alla fine della produzione, eravamo come una piccola famiglia o una piccola setta. Ognuno ha abbracciato la causa e fortunatamente è sopravvissuto.

Un dettaglio dell’esperienza che ricordi e vuoi condividere.
Come un saggio abitante di Memphis mi ha detto, ‘quel che accade a Memphis, resta a Memphis’. Ma se mi offri da bere forse ti rivelerò qualcosa di sconveniente!